La consulenza filosofica deve essere efficace? La prima risposta che si potrebbe pretendere è sì. Che ce ne faremmo, infatti, di qualcosa di inefficace, ossia di qualcosa che non raggiunge lo scopo per il quale è stata concepita? In seconda istanza, però, è necessario indagare, proprio come si farebbe in una seduta di consulenza filosofica, quale significato noi attribuiamo alla parola “efficacia” è se esso sia compatibile con la filosofia (qui partiamo dal presupposto che non vi sia sostanziale divaricazione tra filosofia e consulenza filosofica). Efficacia vuol dire conformità ad uno scopo dato. Per esempio una battuta di pesca è efficace se le reti vengono riempite, uno strumento è efficace se funziona per lo scopo al quale serve, un martello a battere, un automobile a trasportare persone o cose, un aereo a volare. Ora, esiste uno scopo dato per il quale si fa filosofia? Uno potrebbe dire che la filosofia serve a ragionare meglio, oppure a migliorare l’uomo, oppure a capire il mondo o ancora a trasformarlo, oppure di nuovo a imporsi sugli altri attraverso la cultura e l’arte di ottenere ragione, o infine a guarire il prossimo dalle malattie non fisiche, ma spirituali ed esistenziali. La cosa curiosa è che non vi è stato nella storia della filosofia nessuno di questi temi, e di molti altri, che non sia stato affermato, sfumato, negato, accolto, rifiutato, insomma discusso. Ma su nessuno di questi si è creato un accordo sostanziale e durevole. Su una questione invece è possibile trovare una qualche forma di accordo di massima, appunto sull’idea che la filosofia raggiunge il suo scopo quando mette criticamente in discussione tutti gli scopi dati. Ciò perché la filosofia si presenta ogniqualvolta la ragione si interroghi sulla consistenza di un fine, su qualcosa per cui “valga la pena” o meno. Dunque la sua efficacia è, per così dire, da stabilirsi non dall’esterno ma al suo interno. Non esiste niente che possa essere posto come obiettivo e che al contempo non possa essere messo in forse dalla filosofia e, d’altro canto, niente che sia stato scartato e che non possa successivamente essere scoperto come degnissimo di ogni preoccupazione dalla filosofia. Quindi, se proviamo a ripetere la domanda: “A che cosa serve la filosofia?”, dovremmo rispondere che essa, a rigore, non serve a niente di determinato. Allora dovremmo dire che la domanda sull’efficacia è sostanzialmente senza senso, se rivolta ad una disciplina come la consulenza filosofica, il cui cuore è appunto la filosofia. Ma si può al contempo affermare che la filosofia non conduca a formulare ragionamenti migliori e più corretti; non migliori l’uomo, soprattutto quando gli suggerisce stili di vita degni di lui e della sua grandezza; non abbia condotto ad una più profonda comprensione del mondo e anche ad una sua trasformazione; non faccia emergere personalità di prima grandezza cui è molto difficile dar torto (e dimostrarlo!); o non abbia mai curato l’anima e lo spirito grazie all’indicazione di ideali superiori in grado di far superare agli uomini difficoltà e momenti di scoramento? Un breve e superficiale sguardo alla storia della nostra civiltà porterebbe immediatamente ad una risposta negativa.
Come la mettiamo allora? La filosofia non ha lo scopo di produrre determinati effetti, ma lo fa. Questa è effettivamente la risposta. La sua apparente paradossalità sta, credo, nella mancata distinzione tra fine ed esito. Io posso cercare un biglia persa sotto il divano (fine) e trovare, insieme alla biglia, il prezioso anello che mia moglie aveva perso l’anno scorso (esito); posso andare al ristorante perché ho fame (fine) e incontrarvi un mio caro amico (esito), oppure al contrario posso andare al ristorante per incontrare un collega allo scopo di firmare un contratto (fine) e però gustare il miglior risotto della mia vita (esito), infine posso prendere una pastiglia per la tosse (fine) e essere assalito da un sonno irresistibile (esito). Relativamente alla filosofia, l’esercizio del pensiero non può essere sottomesso ad alcun fine, poiché è esso che stabilisce quali siano i fini meritevoli di essere perseguiti, tuttavia i suoi esiti possono essere molteplici e quasi sempre positivi anche alla luce di convinzioni irriflesse. Queste sono generalmente le convinzioni che hanno tutti (anche i filosofi) prima che le abbiano analizzate filosoficamente, e dunque sono precisamente quel quadro “ideologico” che ogni consultante possiede e porta in dote quando si reca dal consulente filosofico. Proprio nel superamento dello stadio irriflesso delle proprie convinzioni consisterà il compito della consulenza filosofica, la quale se è il caso e le troverà sbagliate, le cambierà, altrimenti le renderà più profonde, ragionevoli e consapevoli. Il fine non sarà altro, dunque, che quello di pensare. Gli esiti, come detto, potranno nondimeno essere diversi e tutti da sperimentare e tutti da ricomprendere con la forza nuovamente trasfigurante del pensiero che tutto rende più chiaro e nitido. Perciò, da un lato, è perfettamente legittimo recarsi dal consulente filosofico con delle domande specifiche circa un’efficace risoluzione dei propri problemi e interrogativi, ma, dall’altro, la peculiarità filosofica della consulenza sta proprio nell’idea che a tali problemi e interrogativi si dà una risposta elevandosi oltre le specifiche questioni che essi pongono, verso quel modo assolutamente disinteressato di pensare e ragionare che, mostrandoci il lato nascosto delle cose e delle situazioni, ce ne dispiega il senso più autentico e vero (…solo in base a quest’ultimo, infatti, si possono trovare soluzioni adeguate). Da un siffatto punto di vista, per la consulenza filosofica, la massima inefficacia corrisponde alla massima efficacia.
Massimo Maraviglia