Che cos’è la metafisica? Quando sentiamo questa parola: “metafisica” accade spesso che sia pronunciata come sinonimo di qualcosa di estremamente astruso e complicato, oppure come termine che indica un “massimo sistema”. “Stai facendo della metafisica” può significare: “Mi stai parlando dell’universo quando invece ho bisogno di qualche indicazione concreta e particolare”. Sotto un certo profilo questo modo di intendere le cose è giustificato, nel senso che quando i metafisici, anzi il primo grande e consapevole metafisico, cioè il greco Platone, diede vita alla disciplina corrispondente, con essa intese cercare “i supremi generi della realtà”, ossia il significato più profondo e la causa originaria di tutto l’universo materiale e spirituale. Per intraprendere questo cammino di conoscenza e penetrazione della totalità del mondo con una certa probabilità di successo si accorse che era necessario un metodo specifico. Un grande interprete contemporaneo di Platone, Giovanni Reale, insiste molto sulla metafora della “seconda navigazione” usata dal filosofo greco nel suo dialogo intitolato “Fedone”. Scrive Giovanni Reale: “ ‘Seconda navigazione’ è una metafora desunta dal linguaggio marinaresco [...]: ‘si chiama seconda navigazione quella che uno intraprende quando, rimasto senza venti, naviga con i remi’. La ‘prima navigazione’ fatta con le vele al vento corrisponderebbe, quindi, a quella compiuta seguendo i Naturalisti e il loro metodo; la ‘seconda navigazione’, fatta con i remi, e quindi assai più faticosa e impegnativa, corrisponde ad un nuovo tipo di metodo, il quale porta alla conquista della sfera del soprasensibile. Le vele al vento dei Fisici erano i sensi e le sensazioni, i remi della seconda navigazione sono i ragionamenti e i postulati”. In sostanza i primi filosofi, chiamati Naturalisti o Fisici, pur non rinunciando all’uso della ragione e dell’argomentazione, si fermavano nella loro ricerca della causa di tutta la realtà (l’arché e l’ousia, l’inizio di tutte le cose e la loro intima essenza) ai fenomeni materiali percepibili con i nostri cinque sensi, tra i quali si limitavano a selezionarne alcuni, considerati più importanti, evidenti, diffusi o originari, indicandoli come scaturigine di tutta il resto del mondo fisico e umano. L’acqua di Talete o i quattro elementi di Empedocle (acqua, aria, terra e fuoco) o le sottili particelle atomiche di Democrito sono esempi di che cosa intendevano come principio di tutto gli antichi filosofi da cui Platone vuole prendere le distanze. In che modo il Nostro si differenzia dai suoi pur illustri predecessori (i cui ragionamenti, malgrado possano apparire ingenui a prima vista, non lo erano affatto)? Si differenzia attraverso l’affermazione fondamentale che la ragione ultima della realtà fisica e naturale sta oltre questa realtà fisica e naturale. Andare oltre significava infatti cercare un principio che, proprio perché esterno e superiore, quindi non facente parte del mondo naturale, meglio si prestava a spiegarlo nella sua totalità, superando il problema dei Fisici che consisteva nel tentativo di rendere conto di un tutto attraverso una sua parte. Di qui il termine metafisica per indicare la disciplina che vuole scoprire, indagare e studiare ciò che appunto sta al di là, trascende, va oltre la fisica: meta (=oltre)-fisica. In particolare Platone giunse a sostenere che la nostra realtà è come una specie di copia materiale e un po’ difettosa (perché nel nostro mondo tutte le cose nascono e muoiono) di un modello ideale, eterno e incorruttibile. Per esempio a tutto quanto noi su questa terra possiamo attribuire l’aggettivo “buono”, corrisponde un modello di bontà assoluta nel mondo metafisico. Qui la bontà è sempre frammista alla cattiveria, un uomo oggi si comporta bene, domani no, un avvenimento per una persona è buono e positivo, per un’altra no. Là, nel mondo ideale, nell’universo della metafisica, la bontà è assoluta, piena, senza difetti, eterna e, in qualche maniera, più reale di quelle forme di bontà “contaminate” che noi possiamo sperimentare qui ed ora.
Questi ragionamenti furono ripresi da Aristotele, il più geniale allievo di Platone, che raffinò in modo decisivo la dottrina metafisica, arrivando a postulare l’esistenza di una sorta di Dio impersonale verso cui la realtà progrediva come attratta dalla sua totale, assoluta, immobile e piena perfezione. I cristiani credettero giustamente di vedere nei ragionamenti che consegnava loro una tradizione metafisica ormai consolidata delle indicazioni importanti sulle caratteristiche del divino che venivano ad aggiungersi alla Rivelazione specificandone alcuni aspetti con l’ausilio della ragione. Nell’epoca moderna (dal XVI alla fine del XIX secolo) la metafisica divenne scuola e si irrigidì in complessi sistemi di pensiero che ambivano ad esaurire e a rischiarare senza alcun residuo quella verità che le metafisiche classiche avevano sempre considerato un obiettivo doveroso per il pensiero, ma mai del tutto raggiungibile con le sole forze dell’intelligenza umana (rimaneva sempre qualcosa di inafferrabile alla ragione umana, quand’anche avesse compreso nei suoi tratti fondamentali l’origine e la causa prima dell’universo). Se, in sostanza si è sempre riconosciuto che l’estensione che si offre al sapere umano è infinita perché infinite sono le nozioni da apprendere, talora ci si è illusi di aver trovato un sapere che in profondità potesse conoscere tutto quanto era conoscibile, cioè che avesse trovato la chiave universale della verità, cui sarebbe bastato aggiungere di volta in volta delle conoscenze di fatti e di leggi empiriche. Questo sarebbe stato un sistema qualitativamente insuperabile, anche se dal punto di vista quantitativo si sarebbe sempre potuto immettervi nozioni diverse.
Il progetto dei filosofi moderni, che era giunto a piena consapevolezza con l’illuminismo e il positivismo, come era ovvio, è risultato infine essere una pia illusione. I sistemi onnicomprensivi sono via via crollati lasciando talvolta il vuoto dietro le loro spalle. In particolare nella nostra filosofia contemporanea la delusione per la versione moderna della metafisica e per quella sorta di presunzione della ragione che l’aveva caratterizzata, ha condotto molti filosofi a manifestare una sfiducia totale verso le possibilità della ragione umana di cogliere il senso complessivo della realtà. Ciò ha provocato una “ritirata” della ragione e un rifugio nello scetticismo che, riprendendo le affermazioni di un filosofo di scuola antica, “dice che nulla è né bello né brutto, né giusto né ingiusto e...che nulla è secondo verità ... e che gli uomini agiscono in tutto e per tutto per convenzione ed abitudine” (Pirrone). Infatti se la ragione umana è uno strumento fallace, nulla posso conoscere con verità e tantomeno posso conoscere quei criteri che mi permettono di distinguere il bello dal brutto, il giusto dall’ingiusto e il vero dal falso. Così oggi, alcune filosofie o si accontentano di stabilire i criteri logici che guidano di fatto l’agire degli scienziati (epistemologia), lasciando alla scienza il compito di stabilire una verità tutta fisica, materiale, sperimentale e legata a settori specifici della realtà, oppure cercano l’originalità al posto della verità e spendono le loro energie nel cercare prospettive sempre diverse attraverso cui vedere il mondo, senza che queste siano impegnative e ambiscano ad altro che non ad essere pura letteratura. Così, come è possibile notare anche nella citazione di Pirrone, la conseguenza della rinuncia a cercare un Verità con
Massimo Maraviglia