Vi sono due modi di considerare la vita. Noi dovremmo averli presente quando trattiamo dei temi politicamente scottanti legati a tale argomento. Per comprendere questa bipartizione bisogna rifarsi ai Greci, il cui linguaggio ricco e profondo ci viene qui in aiuto. I Greci avevano due termini per dire “vita”: zoé e bìos (con l’accento sulla “i”, altrimenti la parola significa “arco”). La zoé è la vita animale che si immedesima con il ciclo naturale; è la vita che noi condividiamo con il mondo della flora e della fauna e che corrisponde a quella dotazione soggettiva che gli aristotelici chiamavano “anima vegetativa e sensitiva”. L’uomo che vive la sua zoé è quell’individuo che appartiene ad una data specie, che ha un corpo da nutrire e che è sottoposto a tutte le necessità che riguardano i viventi, non ultima la morte e la dissipazione della propria materia nella terra. Egli condivide con i vegetali la generazione, la nutrizione e la crescita, e con gli animali le attività percettive e il movimento locale (lo spostarsi da un luogo all’altro). I valore di ogni membro della specie sarebbe qui, come in tutte le altre creature del cosmo, di gran lunga inferiore a quello della specie nel suo complesso e quindi ad essa sacrificabile.
Questo è il quadro generalissimo della zoé.
Il bìos è qualcosa di diverso e riguarda tutte le facoltà superiori dell’uomo, le quali fanno presagire e intuire una qualità profondamente diversa della sua vita. Si tratta di una vita orientata agli obiettivi liberamente scelti dalla ragione, che fanno dell’esistenza della persona qualcosa di unico e irripetibile, e quindi avente un valore proprio e irriducibile a quello della specie. Il bìos è la vita che l’uomo conduce nel diritto e nella libertà. La dotazione spirituale - conferita alla persona dal solo fatto di essere uomo e di cui la ragione e le altre suddette facoltà superiori sono manifestazioni ed espressioni più o meno evidenti - è condizione e garanzia del bìos. Proprio perché la vita umana, pur essendo in parte zoé, la trascende e diventa bìos, acquisisce un valore assoluto che esclude ogni intervento teso ad appropriarsene e/o a manipolarla.
Ma tale valore è stato guadagnato dal singolo uomo vivente, oppure egli se lo è trovato, per così dire, addosso senza alcun intervento o collaborazione? Sicuramente l’uomo ha una dignità con la quale è nato, senza che dovesse guadagnarla, poiché le caratteristiche che abbiamo indicato prima non sono dovute al suo “lavoro”, ma , anzi, sono presupposte da ogni suo possibile “lavoro”. Dunque egli può nel corso della vita decidere di sé, perché appartiene solo a se stesso, ma sulla vita, quand’anche fosse la sua, non può decidere. All’uomo insomma appartiene ogni decisione sul come vivere, ma non sul suo essere-in-vita, perché il valore del suo essere-in-vita non dipende dalla sua volontà.
E’ questa la radice razionale antropologica di tutte quelle opzioni politiche che si battono contro aborto ed eutanasia, cioè contro tutti gli interventi indebiti nel bìos dell’uomo che ambirebbero a trasformare la sua vita in semplice zoé.
Massimo Maraviglia