La definizione più generale di logica è: studio del ragionamento. Poiché la filosofia ha essenzialmente a che fare con il ragionamento, la logica può essere detta, con Aristotele, organon, strumento della filosofia. Ma cos’è un ragionamento? E’ un’inferenza corretta, cioè tale che la conclusione dipende necessariamente dalla premessa. La logica, come disciplina, fin dall’antichità ha l’obiettivo di individuare e di studiare le regole che rendono corretti i ragionamenti. Le principali e più fondamentali tra queste regole le usiamo (e molto spesso le violiamo) tutti quando parliamo: il principio di identità, il principio di non contraddizione e quello del terzo escluso. Il principio di identità afferma semplicemente che A=A, cioè ogni cosa è in relazione di identità con se stessa, è se stessa. Il principio di non contraddizione afferma che un enunciato non può essere contemporaneamente vero e falso, cioè non può essere nel contempo se stesso e non esserlo. Il principio del terzo escluso dice che data una qualunque asserzione, questa sarà vera oppure falsa. Senza indugiare troppo in tecnicismi filosofici, questi principi suggeriscono semplicemente, ad esempio, che se io sostengo, argomentando, che sono felicissimo, avendo divorziato, di non vedere più mia moglie e se poco dopo dico invece che mi manca moltissimo, allora la mia argomentazione è incoerente, c’è qualcosa che non va. O mia moglie mi manca o non mi manca, o è vera l’una o è vera l’altra, e sarebbe una buona cosa chiarirmi le idee su questo punto. Un altro esempio potrebbe essere: mi piace molto il mio lavoro ma vorrei cambiarlo. Molto spesso i problemi esistenziali, che altro non sono che una buona parte dei problemi della vita quotidiana, presentano proprio questa forma logica, che se non viene riconosciuta ma “vissuta” emotivamente, provoca ulteriore disagio. Uno dei compiti principali della consulenza filosofica risiede proprio nell’aiutare il consultante ad individuare la possibile incoerenza delle proprie argomentazioni, specchio della incoerenza dei propri pensieri e dei propri vissuti.
Ma ora è bene fare un piccolo passo indietro e osservare che, parlando di logica, abbiamo usato le parole “ragionamento” ,“argomentazione”, “enunciato”, "asserzione", e abbiamo fatto attenzione a quello che diciamo, alle nostre parole ; insomma ci accorgiamo che il terreno su cui stiamo camminando è quello del linguaggio. Logica, infatti deriva dalla parola greca logos, che sebbene sia tradotta spesso con ratio, ragione, significa soprattutto parola, linguaggio. Interrogarsi sulla logica vuol dire interrogarsi sul linguaggio. Ma in che senso? Sul linguaggio in generale? Su ogni tipo di linguaggio? Assolutamente no. Il linguaggio della poesia, ad esempio, vuole, può e a volte deve violare le leggi della logica. Il linguaggio di cui si occupa principalmente la logica, o più in generale la filosofia del linguaggio, è quello descrittivo, costituito da asserzioni, cioè da enunciati aventi “forza assertoria”, direbbe Frege, che hanno un valore di verità ed hanno il vero ed il falso come criterio di valutazione. La logica quindi si occupa tipicamente del linguaggio che ha di mira la verità, che vuol dire la verità. Cosa non di poco conto, dato che la filosofia stessa è ricerca della verità, tensione verso la conoscenza. Ma in che senso parliamo qui di verità? In un primo senso si parla, tecnicamente, di valore di verità. Ad esempio, se io dico : “ il sole sta splendendo”, questo enunciato avrà un valore di verità: sarà vero se effettivamente il sole sta splendendo, falso se le cose non stanno così, ad esempio se sta piovendo. Un altro modo in cui si parla di verità riguarda le cosiddette condizioni di verità. Conosciamo le condizioni di verità quando sappiamo cosa fa sì che un enunciato possa essere detto vero o falso. Quando sappiamo “come deve essere fatto il mondo” perché l’enunciato possa essere vero o falso. Questo è molto importante perché comprendere le condizioni di verità di un enunciato significa comprendere l’enunciato. Se qualcuno ad esempio mi dice: “Il Colosseo è fatto di pietra” io posso non conoscere il valore di verità di quanto proferitomi, cioè posso non sapere se è vero o è falso, ma devo sapere di cosa dovrebbe essere fatto il Colosseo perché l’enunciato possa essere detto vero. Se non lo so non posso dire di avere compreso l’enunciato. Sebbene questa possa apparire una cosa banale, va sottolineato che qui c’è in gioco niente di meno che la comprensione di ciò che ci viene detto. Capita a volte infatti di non capire cosa dicono o scrivono gli altri e addirittura di non capire se stessi. Qualcuno mi dice “Sono infelice, non sono realizzato”. Rispondo: “E’ troppo vago, cerca di raccontarmi e di raccontarti cosa non va, ma devi sforzarti di chiarire anche i dettagli perché solo così posso comprenderti e tu puoi comprendere te stesso”. Naturalmente la comprensione del senso di ciò che uno dice, sebbene fondamentale, può non essere sufficiente. Parlare non si riduce solamente a dire cose vere o false. Quello della verità o della falsità non è l’unico criterio per valutare ciò che uno dice. Parlare vuol dire anche agire sugli altri. Dire: “Sono infelice”, ad esempio non è solo la descrizione di uno stato d’animo. Può essere anche una richiesta d’aiuto, un atto illocutorio, un agire specifico sull’interlocutore, una sorta di “strattone” verbale, come a dire “vorrei dirti delle cose e vorrei che mi ascoltassi”, che può causare un effetto perlocutorio sullo stesso interlocutore, ad esempio suscitando in lui un forte interesse ad ascoltarlo. In questo senso il consulente filosofico, che è consapevole dell’immenso lavoro fatto dalla filosofia ai fini della comprensione del linguaggio, può aiutare il consultante a conoscere se stesso, ricordando che il linguaggio è lo specchio che riflette i pensieri ed in cui si manifestano i vissuti di ogni essere umano.
Antonello Sacco